E’ estate. Qualcuno cammina a ridosso di un alto muro di pietra cercando una striscia d’ombra. Dalle finestre inferriate affacciate sulla via, inaspettati, soffiano suoni, nel silenzio note che si mescolano. Aria fresca, con la torrida calura agostana. Il richiamo è irresistibile: bisogna entrare e vedere. Dentro giovani musicisti, da soli o a piccoli gruppi in stanze che fino a pochi anni fa sono state custodi del mistero della clausura. Esercitano mani e polmoni sugli strumenti, che da lontano li hanno accompagnati fino a Cividale. L’incanto è tale da indurre a portare via con sé frammenti di ciò che sta accadendo nell’ex convento delle Orsoline.
Quando Adriana Iaconcig per la prima volta, dopo un anno di provini e parole, mi ha sottoposto quel meditato florilegio di immagini, ho provato un brivido. Immagini che sono state coraggiosamente scelte fra centinaia e poi stampate su pregiatissima carta in puro cotone acquistata in Bassa Sassonia. Con i guanti alle mani, abbiamo scorso in silenzio fotografie dalle irresistibili campiture di velluto. Belle come un’incisione a maniera nera e dal segno vibrante e morbidissimo come una puntasecca sul rame tenero. E nel silenzio cantante del nitore delle immagini ho percepito delle sonorità particolari. Quelle che si creano solo in ambienti vuoti, o svuotati, in cui sono pochi gli arredi su cui le vibrazioni si infrangono. Questa importante impresa di Adriana Iaconcig dichiara apertamente una poetica che non teme il buono, il bello, il vero. Buono per la qualità del lavoro gestito con l’appassionata dedizione dell’artigiano, che conosce bene i materiali migliori per ottenere l’effetto immaginato. Bello e vero in virtù del gesto istintivo dell’artista che intuisce e generosamente offre la verità di immagini prive di malizia accattivante, nude e crude.
E nel silenzio: note!
E’ musica per occhi. Zittisce d’un colpo il chiasso irriverente del quotidiano dilagante nei pensieri e riconduce dentro, all’essenza. In se stessi, dove c’è quell’amore profondo che, unico, può riconnetterci con il flusso delle cose.
Devo ammetterlo, da quando sono entrata nel progetto di Adriana la prima parola che mi è venuta in mente è stata proprio amore. Intendo quella particolare condizione, che consente di accogliere senza giudicare e mistificare. L’artista attraverso il mezzo espressivo proprio, si fa tramite delle emozioni respirate e, senza soluzione di continuità dal pensiero all’azione, cattura l’attimo. Nell’attuale, preoccupante sconnessione fra esseri umani, il viaggio nell’interiorità cui questo percorso sensoriale anela, è un segno inequivocabile del bisogno dell’artista. Un bisogno che è di tutti noi, di parlare col cuore. Unica strada su cui incamminarsi con fiducia e disponibilità. Senza pretendere sforzi intellettuali ma chiedendo soltanto di ascoltare.
A parlare è il grande protagonista del lavoro qui presentato: il Luogo.
I musicisti che nella loro acerbezza anagrafica fanno da fulgide comparse negli spazi solenni e scarni dell’antichissimo, austero convento. Essi appaiono e scompaiono sulla trama densa e pastosa della carta fotografica gonfia e soffice come una spuma montata ben soda. I lavandini piccoli e candidi, in cui l’acqua vi ha scorso per assolvere a funzioni essenziali lontane da sprechi scialacquanti. Gli armadi enormi e scuri, guardiani impenetrabili dell’essenzialità delle vesti monacali. Le sedie sparse, evocatrici di quello scricchiolio che fa compagnia, dimensionano gli spazi, altrimenti non quantificabili. Corridoi bianchi, piccole finestre, porte chiuse, banchi di preghiera. Tutto risplende di bellezza. Di quella bellezza dell’essenziale, di ciò che c’è e che basta così, perché altro non serve.
Dove c’è il vuoto, c’è spazio per ogni cosa.
La voce rimbalza sonora sui muri ed i pensieri riempiono l’aria, liberi di danzare e svilupparsi. E la luce, che entra violentemente dalle grandi finestre affacciate sullo scorrere inesauribile del fiume Natisone, inonda gli ambienti e scolpisce ombre solide e nere.
La musica su tutto. L’armonia dell’equilibrio compositivo che genera percezioni sonore nell’orecchio di chi guarda. La sensazione di sentire il suono degli strumenti fotografati, vivi, fra le mani dei musicisti. La musica, realmente carpita da Adriana in presa diretta durante gli esercizi degli alunni dei corsi di perfezionamento, per essere proposta in un percorso multisensoriale.
Chiara de Santi
Tratto da Testo critico “Il pieno nel vuoto”
…E NEL SILENZIO: NOTE! from Adriana Iaconcig on Vimeo.