Commento 0

Mišček, ovvero Vita nei Boschi, 2018. Appunti di viaggio

“Tutto nasce da una suggestione; per me nata dalla scelta di tornare in Canada, luogo dove avevo vissuto fino ai 10 anni, nell’estate del 2016”.

Nulla è per caso

Dopo i ritratti ambientati, ripresi nelle zone a nord est del Friuli, in questo progetto sconfino in territorio sloveno. Nel mese di novembre del 2016, seguendo un istinto naturale, arrivo nei boschi di Mišček, primo paese del confine italo-sloveno, nella vallata dello Judrio.
Qui intravedo un capanno, che scopro essere stato costruito dal padre di due fratelli da me precedentemente ritratti. Li ricontatto, li riporto nuovamente in questo luogo, li faccio stare a piedi nudi nel fogliame rosso bagnato già in marcescenza e qualche lombrico che faceva capolino. Li lascio in muto dialogo con questo incredibile posto naturale, attraversato solo da rumorose acque verdi e dai richiami leggeri degli uccelli.

vita nei boschi

I piedi in breve si sbiancano per il freddo umido. Dovevo sbrigarmi.
Lentamente e inesorabilmente mi innamoro di quel luogo, ritrovando in esso tutto il mio sentire.
Un forte spirito d’avventura mi trascina quell’estate e la successiva, tanto che inizio a rapportarmi con quel territorio in modo immersivo con nuotate al fiume sentendo anche la necessità di trascorrere una notte in tenda nel bosco completamente isolata dal mondo.
Mi ritornano in mente le frasi pronunciate dai ragazzi dell’attimo fuggente, “andai per i boschi perché desideravo vivere con saggezza”, che credevo, sbagliandomi, fossero di Walt Whitman. Vengo così a conoscenza dello scrittore e pensatore americano Henry David Thoreau.
All’età di ventotto anni, nel 1845, questo giovane scrittore si reca per oltre due anni in completo isolamento nei boschi attorno al lago di Walden, nel Massachusetts, dove costruirà da solo un capanno per viverci.
La sua è un’intensa riflessione sull’armonia del mondo naturale e lì scriverà il famoso libro Walden, ovvero Vita nei boschi, ritenuto uno dei primi romanzi ecologici.
Sarò idealmente legata a lui in questa situazione: Thoreau nei boschi di Walden, io nei boschi di Mišček; per entrambi un capanno di legno per ricovero.

La fotografia visionaria

A seguire, per cercare di trasferire ad un livello percettivo il reale, nascono le sperimentazioni con le stereoscopie. In esse appaiono grossi alberi in primo piano con le loro fronde e sullo sfondo vi è il digradare di altri arbusti più sottili, di muschi, cortecce, ruscelli, acque, nel tentativo di rivelare in modo compiuto una sorta di ‘segretezza’.

È un guardare e un ritrovarsi a camminare in quella foresta incantata e protetta.

Scopro le affascinanti stereoscopie ottocentesche sfogliando proprio una pubblicazione arrivata direttamente dal Canada. Si tratta del catalogo della grande mostra di William Notman, fotografo scozzese fuggito proprio in Canada nel 1856 da Glasgow, per problemi negli affari economici di famiglia. Sarà il primo fotografo canadese a costruirsi una reputazione internazionale con studi fotografici in tutto il nord America.
Dall’importante pubblicazione emerge una foto che suggestiona definitivamente il mio immaginario del continente americano: un uomo completamente vestito con una folta pelliccia di orso bruno. Mi ritorna subito alla mente The Revenant. Le mani dentro le grosse maniche della pelliccia e un colbacco in testa. In tutto questo pelo sono visibili solo degli occhi chiari, magnetici. Lo sguardo primordiale e la neve che permeava questa fotografia del 1887 sono un colpo di fulmine, un amore arrivato a me dal XIX secolo.
Sono nate così alcune polaroid. Protagonista mio figlio Riccardo, vestito di solo muschio, realizzato con quello ritrovato sugli alberi di Mišček.
L’uomo del XIX secolo veniva reincarnato sotto forma di tutela dell’environment.

Viaggio senza fine nel grande freddo

Nell’estate del 2016 ho fatto ritorno, per la prima volta dall’età di dieci anni, nel mio Canada. Sono partita con la famiglia alla ricerca delle mie radici canadesi. Volevo dei testimoni visivi della storia che era stata del loro nonno partito con la valigia di cartone e, poi mia, nata lì. Andando a ritroso alla ricerca dei segni delle radici mi sono persa e ritrovata nei grandi boschi delle foreste, nei grandi laghi senza orizzonte Huron, Erie, Ontario e nelle Montagne Rocciose del Banff National Park, Jasper National Park con i pini più alti del mondo e i laghi glaciali color latte e menta; nelle immense e desolate distese della parte quasi disabitata che si percorre da Jasper per raggiungere Vancouver, città sulla sponda occidentale del Canada.

Centinaia di chilometri nelle gole delle montagne dove passano solo enormi camion, fuoristrada di misura large e l’infinito tracciato della Canadian Pacific Railway, un serpente di ferro fischiante che trascina un centinaio di vagoni rosso scuro con grandi ed esaltanti scritte Canada, Alberta, British Columbia.

È l’immagine per eccellenza che esprime l’immensità di questo stato. Lì ho ritrovato il mio sguardo lasciato a nove anni.
Lì ho ritrovato il ritmo del mio respiro lungo senza fine.

Adriana Iaconcig, novembre 2018

Rispondi