Galleria Civica d’arte Moderna e contemporanea
San Donà di Piave
DI NATURA
Perturbazioni
A cura di Giorgio Baldo
Durata
12 maggio – 2 giugno 2019
Installazioni presso la Galleria Civica d’arte Moderna e contemporanea San Donà di Piave
Nella settimana dal 26 al 30 ottobre 2018 una ondata eccezionale di maltempo ha investito il Triveneto e l’intera Italia.
La forza del vento, con la velocità e potenza di un uragano, ha distrutto vastissime estensioni boschive, divelto in ogni dove alberi giovani e centenari. La “bomba” d’acqua ha simultaneamente dilavato i territori montani e di pianura, fatto rapidamente defluire macerie vegetali e fanghi nei grandi e piccoli corsi d’acqua.
La piena eccezionale ha disseminato questi resti nei greti e li ha trasportati sino al mare dove ha trovato, a impedire la loro dispersione nella sua immensa distesa, venti e onde altissime che hanno fatto muro e li hanno spinti a riva. Sul litorale si sono accumulati cumuli vegetali, immondizie di ogni genere.
Il disastro è stato documentato da foto, video, trasmissioni nel suo farsi.
Sul day after dal giorno del disastro sino ad oggi e sull’annuncio di futuro (oscuro) che quella perturbazione eccezionale racchiude in sé, investiga la mostra che si presenta in occasione del Festival della Bonifica.
Che natura si è rivelata? Che natura si prepara? Su quali consapevolezze ricostruire?
La mostra trae la sua origine dal lavoro iniziato quasi a ridosso di quell’evento da parte di un gruppo di fotografi che hanno deciso di investigare i paesaggi tra Veneto e Friuli determinatesi dopo quel grande crash di natura. Quella che si presenta è la prima sintesi di questo viaggio condotto lungo le vie dei fiumi dalle loro sorgenti alle distese marine.
Adriana Iaconcig non parla del disastro avvenuto. Ci parla del bosco come luogo dell’anima, del suo desiderio ancestrale, del suo mito.
La sue immagini pensano al passato e proiettano nel futuro la sua memoria in un nuovo inizio.
Risuona la vecchia voce, il richiamo della natura primigenia e profonda a perdersi nella sua materia, nella sua fecondità.
La sente onnipresente nel viaggio nel bosco della memoria della sua prima giovinezza in Canada tra tronchi immensi, ombre silvane, sensi selvaggi.
Avendo oggi, come colonna sonora di sottofondo che accompagna la sua immersione nel nuovo bosco, eletto e ritrovato tra Friuli e Slovenia, la voce dei tanti racconti che la cultura dell’uomo ha inventato; dai miti antichi dei greci sino al Walden ottocentesco.
È in quei luoghi che si cela come Artemide, amando muschi, alberi, fiere e polle d’acqua; e gioisce per il ballo di seduzione che faune e ninfe intrecciano tra le foglie cadute.
La mostra pensa ad un nuovo rapporto da instaurare con la natura che viene; lo fa nel cono d’ombra dei cambiamenti climatici, i cui effetti sono usciti dalle previsioni libresche, e hanno cominciato a mordere la realtà che viviamo.
Edoardo Cuzzolin vede la natura come fosse un artista che ha prodotto una immensa installazione di Land Art.
In quella settimana in cui ha scatenato venti a 200 all’ora, prodotto “bombe” d’acqua, divelto boschi, riempito fiumi, la natura ha prodotto una enorme opera d’arte in cui possiamo trovare,
tra distruzioni e rovine, segnali da decifrare per divinare sul futuro, inusitati pattern coloristici,
radure di ordini matematici, design paesaggistici.
E terrori del caos Francesco Finotto inventa paesaggi primordiali di un mondo senza l’uomo che il disastro ha evocato; sorge un’alba che potrebbe essere o quella che si vide all’origine del tempo o quella che illuminerà estenuata la sua fine.
E fa giocare questi paesaggi di origine e fine del tempo dell’uomo, paesaggi di tempi “geologici”,
con il ciclo quotidiano di una natura povera e dimessa che vive sul greto del fiume.
Stefano Ciol fornisce un volto alle divinità pagane che hanno corpo nei torrenti e fiumi friulani: Cordevole, Degano, Cellina, Tagliamento.
Scorrono i Fiumi antichi nel buio e nel chiaro verso il mare tra i nuovi disastri del bosco caduto; dentro il loro regno, tra argini e rocce, nei loro piccoli laghi, disegnano imperterriti sabbie, sponde,
sassaie appena turbati dai disastri visibili sulle loro rive, da fanghi e detriti scaricati nelle loro acque.
Sanno come purificarsi. Contengono pesci di acque sorgive: temoli, barbi, trote fario e salmerini. Non li vedi, ma li intuisci.
Il volto dei fiumi è il colore della loro acqua per ognuno di loro diversa e; quelle tinte, che in ognuno mutano dal verde al più puro blu, testimoniano la loro personalità. Le variazioni di toni che ognuna di loro ci mostra nel ciclo del giorno sono il canto variato delle divinità acquoree che permanentemente nutrono la terra e vanno al mare.
Carlo Chiapponi sposta il tiro, allarga gli spazi dell’osservazione; ciò che è eccezionale non succede solo nei boschi e nei paesaggi del “naturale”.
In città, nella sua Marghera, a ridosso di nuovi boschi artificiali, il disastro di natura appena avvenuto nei monti e nei fiumi, rompe lo sguardo abituale, spezza il velo dell’ordinario e superficiale vedere.
La crisi del naturale aumenta la percezione, un occhio nuovo scopre l’aridità e secchezza dei parchi urbani, dove la natura è vilipesa, espulsa o muta tra gabbie di condomini o autostrade urlanti.
E la sua vitalità selvaggia si trova ai bordi, nell’incolto, disegna quel terzo paesaggio già cantato da Gilles Clément.
Il racconto di natura e artificio del gruppo dei quattro fotografi si interseca con quello di altri due artisti. Lucio Schiavon , stimolato dai racconti sulla rovina del bosco e delle sue radure dove urogalli e altri animali trovavano lo spazio sacro per le danze di accoppiamento, inventa un bestiario dei tempi che verranno. I suoi sono animali arrabbiati. I loro corpi sono spaesati. I loro occhi sfidano le nostre colpe. E nuove foreste e nuove radure.
Perturbazioni a venire: occorre prenderne le misure.